Forever and a Day

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~ Forever Fux
view post Posted on 10/1/2009, 19:16




Forever and a Day
By ~ Forever Fux



Personaggi aggiunti:
Kelly Gibbs: mio personaggio
Johanna Burnett: personaggio di una mia amica
McGee, Ziva, Tony, Gibbs: cast del telfilm "NCIS"
Don Flack: dal telefilm "CSI:NY"

Palma di Maiorca
-André! André!- continuava a gridare Semir. L’acqua salata gli entrava in bocca e gli faceva bruciare la gola. Ma a lui non importava. Non smise di chiamare il suo collega nemmeno quando un pugno d’acqua gli andò di traverso e per poco lo fece soffocare.
Improvvisamente sentì un paio di mani che lo issavano su una barca. Si ritrovò seduto faccia a faccia con la Engelhardt, che scuoteva il capo lentamente. Gli passò una coperta e lui vi si avvolse dentro.
Un fortissimo boato li costrinse a voltarsi. Alle loro spalle, la barca di Berger si era schiantata ed era esplosa.
-Quello era Berger, vero?- disse la Engelhardt.
Semir annuì e si girò verso la colonna di fumo -Ti sta bene, porco schifoso- sibilò tra i denti. Poi gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. La sua era una risata cattiva, malvagia, una risata che non gli apparteneva. Una risata che terminò in un singhiozzo strozzato.

Con le ultime forze che gli erano rimaste, André si trascinò sulla spiaggetta. Era deserta. Si lasciò cadere sulla sabbia, a faccia in su. Il sole stava calando e l’aria si stava raffreddando. L’arpione infilzato nel petto aveva miracolosamente mancato gli organi vitali, ma pulsava e il dolore lo accecava. Inoltre era bagnato fradicio e tremava dal freddo. Chissà quanto era lontano dal punto in cui era caduto in acqua. Chissà se Semir lo avrebbe ritrovato. Chissà se l’indomani sarebbe stato ancora vivo o se il dolore lo avrebbe ucciso prima...
Si addormentò. Sognò che qualcuno lo accoltellava al petto. La sensazione era resa realistica dall’arpione. Si svegliò di soprassalto, gridando e portando le mani intorno alla ferita per cercare di calmare il bruciore. La stanchezza ebbe nuovamente la meglio e lo trascinò di nuovo nel sonno. Questa volta non sognò, ma dormì male, quasi peggio di prima. Si aggrappava con tutte le sue forze al terreno, sollevando la sabbia che poi gli finiva in faccia e gli bruciava.
Ad un certo punto il dolore divenne così insopportabile che André arrivò a chiedersi perché quel maledetto arpione non aveva colpito un po’ più in basso, verso il cuore.

-Kelly sta attenta, quel bastardello tende a scappare se non ci sono io che lo richiamo- disse McGee, passando alla collega il guinzaglio del suo cane, un pastore tedesco di nome Jethro.
-Tranquillo, ci so fare con i cani- sorrise Kelly -Anche se non mi viene del tutto naturale chiamare un cane con il nome di mio padre- detto questo si avviò lungo il sentiero, ordinando a Jethro di cercare qualche traccia e lasciando McGee a pregare che il cane le obbedisse.
Kelly sganciò il guinzaglio del cane, senza smettere di ripetere -Cerca, Jethro, cerca!-.
L’animale si allontanò da lei, il naso che fremeva e la coda ritta. Ogni tanto si fermava e guardava indietro, a volte si fermava anche ad aspettarla.
Improvvisamente drizzò i peli dalla collottola sino alla punta della coda. Puntò il muso in alto, spalancò le narici per catturare più aria possibile, aprì la bocca ed emise un ululato strano persino per un lupo. Un ululato che aveva qualcosa di sinistro.
Kelly conosceva quel comportamento, e di solito non significava niente di buono. I suoi sospetti ebbero conferma quando Jethro si lanciò a tutta velocità verso una spiaggetta riparata da alcuni scogli.
-Jethro! Jethro torna qui!- lo chiamò, ma quello ormai era andato. Non le restava altro che inseguirlo.
Raggiunse gli scogli. Vi si stava arrampicando sopra quando udì il cane dall’altra parte che abbaiava e mugolava. C’era qualcosa che non andava. Magari aveva trovato l’assassino del Marine su cui stavano indagando...
Jethro stava saltellando intorno a... ad un corpo! Kelly si precipitò verso di lui -Bravo Jethro- gli disse, accarezzandolo -Ora però ti metto questo e stai buono- gli rimise il guinzaglio e lo fermò sotto al suo piede, mentre si chinava sull’uomo a terra. Era ancora vivo e aveva un arpione conficcato nel petto.
L’uomo aprì gli occhi e la guardò stralunato. Fece per parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un rantolo soffocato.
Kelly prese il cellulare e chiamò un’ambulanza. Poi gli prese una mano e disse -Stia tranquillo, i soccorsi stanno arrivando-.
Con sua sorpresa, l’uomo ricambiò la stretta, poi perse di nuovo conoscenza.

André si svegliò. Si trovava in una stanza d’ospedale. Il dolore al petto non era scomparso, ma si era attenuato parecchio. Gli avevano finalmente estratto l’arpione! Si guardò intorno. La stanza era vuota, fatta eccezione per il letto su cui era disteso e un divanetto. La sua attenzione fu catturata da un cappellino nero e da un paio di occhiali da sole. Li aveva già visti da qualche parte... ma dove? Forse in uno di quei sogni che aveva fatto mentre era mezzo morto su quella spiaggia?
La porta si aprì e la risposta a quelle domande lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Era entrata una ragazza bionda, con i capelli raccolti in una coda e un giubbotto nero. Prese il suo cappello e i suoi occhiali, poi quando si accorse che Andrè la stava fissando, si voltò versò di lui e gli sorrise.
-Finalmente sei sveglio!- disse -Oh, scusa, che scema! Non mi sono presentata! Kelly Gibbs, NCIS di Washington D.C-.
-Che?- fece lui, stordito.
-NCIS, Naval Criminal Investigative Service. Squadra investigativa della Marina Americana- spiegò lei -Tu sei André Fux, vero?-.
-Come...?-.
-Ho trovato questo nella tua tasca- sventolò il suo tesserino -Solo che è fradicio. Sei un poliziotto, vero? Di dove sei?-.
-Colonia, in Germania-.
-Wow. E perché sei qui a Maiorca? E, scusa se te lo chiedo, ma perché avevi un arpione nel petto?-.
Quella gli stava già simpatica. André raccontò tutto, di Semir e della loro indagine su Carlos Berger.
-E il tuo collega dov’è ora?- fece lei, che lo aveva ascoltato rapita come da un racconto d’avventura.
-Non lo so. Mi crederà morto-.
-Perché non mi dici come si chiama? Ce ne possiamo occupare noi- sorrise.
-Ma che c’entra la Marina con me e il mio collega?-.
-Sei piombato nella nostra indagine, ecco ce c’entra. Allora, come si chiama il tuo amico?-.
-Gerkhan. Semir Gerkhan. È turco. Se lo incontri lo riconosci subito. È alto un metro e sessanta-.
Kelly rise -Va bene, me ne occupo io. Tu resta qui e se hai bisogno...- gli mise in mano il suo biglietto da visita -A qualsiasi ora- gli fece l’occhiolino, si sistemò il cappello con la scritta ‘NCIS’ al contrario, con la visiera all’indietro e uscì.

Colonia
-No, Capo, la prego!- implorò Semir per la centesima volta.
-Gerkhan, da quando è tornato da Maiorca ha avuto due casi a cui lavorare, e tutti e due sono passati ad un altro distretto. Questo perché lei non lavora bene da solo, soprattutto in questo caso. Ha da poco perso un collega-.
-Capo, mi dia un’altra possibilità! Una sola!-.
-Mi dispiace, non posso. Anche se lo vorrei tanto. Quindi ora la pregherei di prendere questi fascicoli e di scegliersi un collega. Sono tutti ottimi candidati- il capo gli passò una pila di fascicoli.
-Me ne frego di questi qui!- gridò Semir, scagliandoli per terra -Io non voglio un altro collega! Nessuno potrà mai sostituire André, nessuno!- le lacrime gli salirono agli occhi, premendo per uscire. Lottò per trattenerle, ma alla fine non ce la fece più e le lasciò scendere, calde, a rigargli le guance -Anzi, sa cosa le dico? Mi dimetto!-.
-Semir, ascoltami- il capo abbandonò il lei e il tono formale da capo della polizia e parlò come una madre -Dimetterti non servirà a niente, se non a peggiorare la situazione. Affiancandoti un nuovo collega non intendo chiederti di dimenticare Fux. Ti chiedo solo di fare uno sforzo e di andare avanti. Non puoi abbatterti in questo modo. Quando sei entrato in polizia hai pensato che cose del genere possono accadere tutti i giorni con questo mestiere, vero? So che all’inizio è sempre difficile, ma bisogna trovare il coraggio di voltare pagina. Non far sentire in colpa il povero André, ovunque si trovi ora, facendoti vedere così-.
Semir si asciugò le lacrime con la manica e si lasciò cadere sulla sedia di fronte alla scrivania del capo. La Engelhardt non gli aveva mai parlato così e ciò lo fece stare peggio.
-Non ti sto chiedendo di restare per forza, dare le dimissioni è una tua scelta e se deciderai di andartene non ti ostacolerò. Ti sto solo dando un consiglio. Non come capo, ma come collega. Prenditi un giorno, va a casa e pensaci-.
Semir annuì e uscì in strada. Nel parcheggio c’era ancora l’auto di André. Guardandola gli parve di sentire di nuovo la sua voce, quando litigavano su chi doveva guidare. Non potendo sopportare il pensiero che quei piccoli battibecchi non ci sarebbero mai più stati, vi si scagliò contro, prese a pugni la carrozzeria, riempì di calci le ruote e sfondò una parte di parabrezza. Poi corse via, verso la sua auto e partì a tutta velocità. Il tutto sotto lo sguardo preoccupato della Engelhardt.

Johanna uscì dall’aeroporto, tirandosi dietro le tre valigie che si era portata dietro. Cercò il taxi che aveva chiamato, vi stipò dentro i bagagli con un po’ di fatica, salì e comunicò l’indirizzo al tassista, che la guardava allibito. Di clienti strani ne aveva avuti, ma quella li superava tutti.
Il taxi si fermò di fronte a quella che sarebbe stata la sua nuova casa. Scaricò le sue cose dall’auto e salì nel suo appartamento. Era già ammobiliato, non molto grande e confortevole. Meglio di così?
Disfò i bagagli, sistemò le sue cose poi corse alla finestra, la spalancò e una ventata d’aria fredda le soffiò piacevolmente in viso.
Respirò più a fondo che poté ed esclamò -Si ricomincia!-.

Palma di Maiorca
André si stava riprendendo velocemente. Era stato dimesso dall’ospedale due settimane dopo il suo ricovero ed alloggiava nella stanza d’hotel di Kelly, la ragazza dell’NCIS che lo aveva salvato.
Quella sera, Kelly rientrò in hotel prima del solito. Era distrutta.
-L’avete preso?- chiese lui, riferendosi all’assassino che l’NCIS cercava da tempo.
-Macché, ormai è scappato- sbuffò lei, lasciandosi cadere sul letto accanto a quello di André -Come va la ferita?-.
-Meglio di ieri- le rispose, come rispondeva tutte le volte che glielo chiedeva -C’è qualcosa che non mi hai detto?-.
-Cosa te lo fa pensare?-.
-La tua faccia-.
Kelly si alzò, prese delle bende pulite dal cassetto del comodino e si sedette accanto a lui -Visto che siamo ormai sicuri che quell’imbecille non è più a Maiorca, dobbiamo rientrare a Washington. La Sheppard è furiosa- disse, iniziando a svolgere le bende dal petto di André.
-Oh. Quindi questo vuol dire che io devo tornare a Colonia?- fece lui, con una punta di tristezza.
-Non lo so, tu sei libero di fare quello che vuoi-.
-Stavo pensando... visto che a Colonia mi credono tutti morto e che non ho proprio voglia di riprendere la vecchia vita... Oh fa piano!- esclamò, quando sentì troppa pressione sulla ferita.
-Scusa. Comunque ho capito quello che vuoi dire. Vuoi venire a Washington con me?-.
-Solo se vuoi anche tu-.
-Certo che lo voglio!- sorrise lei -Ma non pensi a Semir? Non vuoi informare nemmeno il tuo migliore amico?-.
-E’ meglio che lui non sappia niente. So che sta soffrendo perché crede che io sia morto, ma voglio che superi questa cosa e che impari ad accettare che certe cose accadono, soprattutto quando si lavora in polizia- vedendo che Kelly stava ripensando a Kate Todd, sua collega morta anni prima mentre era in servizio, cercò di sdrammatizzare -E poi, con lui questo mio “segreto” non sarebbe al sicuro. Lo andrebbe a sbandierare ai quattro venti-.
Kelly rise -Un giorno lo devo conosciere questo Semir. Ecco, ho fatto-.
-Allora, quando si parte?-.
-I miei colleghi domattina presto, io e te quando questa qui- sfiorò appena le bende nel punto in cui c’era il taglio -Si deciderà a guarire del tutto-.
-E il tuo direttore?-.
-Oh, la Sheppard capirà- si spogliò e si infilò il pigiama -Ho già chiesto a mio padre, e per lui va bene- si accoccolò sotto alle coperte e spense la luce. Mormorò un -Buonanotte- e si addormentò quasi subito.

I giorni a Maiorca passavano troppo velocemente. André era quasi del tutto guarito e aveva cominciato a uscire e ad andare in giro per la città con Kelly.
L’ultima sera prima della partenza, i due erano seduti al tavolino di un bar con una terrazza che dava sul mare, al tramonto.
-Così domani finisce tutto questo- sospirò Kelly, leggermente amareggiata.
-Eh, già. Mi mancherà Maiorca. Anche se ci ho quasi lasciato le penne. Perfortuna c’era un’agente della NCSI che mi ha salvato!-.
Kelly scoppiò a ridere -Non è NCSI ma NCIS. E poi non è stato tutto merito mio. Se il cane non mi fosse scappato non ti avrei mai trovato-.
-Ah, allora devo ringraziare il cane se sono ancora vivo?- le prese la mano, si alzò e la tirò verso la terrazza -E se sono qui con te in questo momento? E se domani volerò a Washington?-.
-Sì- ridacchiò lei.
-Bene, allora vorrà dire che questo lo darò a quel cane, quando lo vedrò- la strinse a sé e la baciò, per la prima volta da quando si erano conosciuti.
-Sai, forse non è tutto merito di Jethro...- stavolta fu lei a baciarlo. Andarono avanti così finché il sole non fu tramontato del tutto e decisero di andare a casa a riposare per il viaggio che avrebbero dovuto affrontare l’indomani mattina.

Colonia
Era da un po’ che Johanna era a Colonia e ancora non aveva fatto un giro della città fatto bene. Così quella mattina, dopo aver fatto una doccia calda, decise di uscire e di fare una passeggiata. Si infilò la prima tuta che pescò dall’armadio, scese le scale e uscì in strada. L’aria era fresca e in cielo non c’era una nuvola. “Una giornata perfetta!” pensò lei. Proprio mentre attraversava la strada, una BMW grigio metallizzato sbucò da in fondo alla strada a tutta velocità e non accennava a fermarsi per far passare lei. Infatti fu costretta a buttarsi di lato e finì dritta dritta col sedere in una pozzanghera.
-Maledetto!- gridò, anche se il guidatore non poteva sentirla. Quando si fu alzata si accorse che in cima all’auto che l’aveva quasi investita svettava un lampeggiante acceso -Poliziotto o meno, non sei scusato- disse, poi cercò le chiavi di casa e tornò dentro a cambiarsi. Altro che giornata perfetta!


Washington D.C.
-Sono tornata!- annunciò Kelly, uscendo dall’ascensore.
-Come sta André?- si informò subito Ziva.
Tony non le diede il tempo di rispondere -E perché ti interessa, Zivaaah?-.
-E perché a te interessa se a me interessa o meno?- ribatté lei.
-Sono qui da meno di un minuto e già ho malditesta- fece Kelly -Comunque, Ziva, André sta molto meglio-.
-Bene-.
-Così potete andarci a letto- rise Tony.
Le due lo guardarono male -Porco!- dissero, all’unisono.
Kelly si sedette alla sua scrivania e appoggiò lo zaino per terra.
-Lascia stare- fece la voce di suo padre, dall’alto delle scale che portavano all’ufficio del direttore.
-Come?- fece lei, perplessa -Oddio... la Sheppard mi ha licenziata?!-.
-Il nostro assassino ha colpito ancora- continuò Gibbs -Non qui-.
-Di nuovo a Maiorca?- disse Tony, inarcando un sopracciglio.
-No. A Colonia, in Germania-.
Kelly sussultò così violentemente che la sedia le partì da sotto al sedere e si ritrovò per terra come una pera cotta.
-E questo cos’era?- ridacchiò McGee, appena arrivato.
-Niente, niente- si giustificò lei -Solo che ora devo trovare un modo per dirlo ad André-.

-André?- chiamò Kelly, aprendo la porta di casa sua.
-mmm?- rispose lui, mezzo addormentato sul divano.
-Devo dirti una cosa...-.
-Mi sfratti?-.
-No, cretino- ridacchiò lei, allungandosi accanto a lui -Il nostro assassino è fuggito di nuovo da Washington ed ha colpito ancora-.
-E io che c’entro?-.
-Indovina dov’è andato a uccidere?-.
-A Maiorca?-.
-Oh ma siete tutti fissati con Maiorca?- sbottò lei -Comunque no, non ha colpito di nuovo là. Ha colpito un marine che era a Colonia, in Germania-.
-Quindi ora voi dovete andare là, giusto?-.
-Sì-.
-E io devo venire con voi per informare i miei ex colleghi che sono ancora vivo, vero?-.
-Come ti pare. Per me puoi anche restare qui-.
-E stare anche per un solo giorno lontano da te? Non credo che resisterei- rise.
-Sicuro allora che ce la fai a venire con noi e ad “affrontare” i tuoi ex colleghi?-.
-Sicurissimo- la baciò, poi tutti e due si addormentarono.
In realtà, André non era affatto sicuro. Cosa avrebbe detto, una volta tornato là? “Ta dan, sono ancora vivo! Non ve l’ho detto prima perché mi ero scocciato di questa vita e volevo cambiare!” suonava piuttosto male, ma in fondo era la pura verità. Come avrebbe affrontato Semir? Aveva abbandonato il suo migliore amico nel dolore della sua perdita, come poteva ora ripresentarsi lì come se niente fosse?
Tutti questi pensieri lo costrinsero a svegliarsi. Kelly, che dormiva accoccolata a lui, sentì i suoi movimenti e anche lei aprì gli occhi.
-Oh, che c’è?- gli sussurrò.
-Niente... solo... la ferita- cercò la scusa più plausibile per esser stato “colto” sveglio in piena notte e madido di sudore. Per sua fortuna, Kelly era troppo stanca per ricorrere alle sue conoscenze di psicologia per capire se mentiva o no, così gli credette. Si girò e iniziò ad accarezzargli dolcemente il petto.
-Va meglio?-.
-Sì, grazie-.
Lentamente quel tocco si spense e André capì che si era addormentata. Provò a fare lo stesso anche lui, ma era troppo agitato. Forse la soluzione migliore era rimanere lì a Washington e aspettare il ritorno di Kelly... Ora però il problema era confessarle i suoi timori.

Colonia
Johanna si svegliò e lanciò un’occhiata svogliata alla sveglia sul comodino. Le sette?! Doveva sbrigarsi, o avrebbe fatto tardi al colloquio di lavoro che avrebbe avuto di lì a un’ora. E un’ora le serviva solo per prepararsi. Balzò fuori dal letto e corse in bagno. Si lavò in fretta e furia, poi tornò in camera da letto e si tuffò letteralmente nell’armadio alla ricerca del suo vestito migliore. Lo trovò, se lo infilò, si pettinò distrattamente e guardò di nuovo l’orologio. Il tempo per fare colazione non c’era. Agguantò le sue cose e uscì di corsa. Avrebbe dovuto fare un bel po’ di strada a piedi.
-Devo assolutamente trovare il modo di procurarmi una macchina- sbuffò, avviandosi.

La Engelhardt guardò l’orologio e sospirò. Lanciò un’occhiata a Semir, seduto sul divanetto in fondo all’ufficio, che aveva assunto un’espressione imbronciatissima.
-Visto, è in ritardo- disse, sentendosi gli occhi del capo addosso -Come posso lavorare con un collega che non arriva puntuale nemmeno al colloquio di lavoro?-.
-E’ una collega-.
-Ah, di male in peggio-.
-Avanti, Gerkhan, cerchi almeno di sorridere!-.
Semir sorrise nel modo più falso che gli riuscì -Così va bene?-.
-Così mi fa scappare i nuovi arrivati- il capo si passò una mano sul viso.
-E’ proprio questa la mia intenzione-.
In quel momento la porta si spalancò e una ragazza si catapultò letteralmente nell’ufficio, sotto gli occhi sconcertati della Engelhardt e lo sguardo divertito di Semir.
-Mi... mi scusi- ansimò lei, aggiustandosi gli occhiali che portava -Ho... ho avuto un... un contrattempo-.
-Si sieda pure, signorina...- si interruppe per leggere il nome sulla cartella.
-Burnett, Johanna Burnett- disse lei.
-Bene, signorina Burnett, mi parli di lei. Ha lavorato alla Omicidi di New York, giusto?-.
-Sì, cinque anni e mezzo- fece, quasi orgogliosa -E per quasi un anno sono stata con la CSI, la Scientifica, sempre di New York-.
-Ah, quindi ha anche competenze scientifiche?-.
-Abbastanza-.
-Interessante. La sua cartella mi dice che sarebbe un’ottima candidata come collega di Gerkhan-.
Da dietro Semir sbuffò. Johanna, che non lo aveva ancora notato, sussultò e si voltò per capire da dove proveniva quel rumore. “Quello è Gerkhan?” pensò “Non mi sembra molto felice di avermi come collega”.
Il capo la riportò al presente -Naturalmente, prima di assumerla definitivamente, vorrei vedere come se la cava sul campo- le disse -Perciò, inizio consegnandole queste...- le mise in mano la chiave di un’auto e gli occhi di Johanna si illuminarono da dietro le lenti -E’ della Mercedes blu parcheggiata qui fuori. Prima di usarla le consiglio di farla controllare al nostro tecnico, perché è un pezzo che...- fu bruscamente interrotta da Semir che si balzava in piedi e rovesciava il tavolino di vetro, mandandolo in frantumi.
-GERKHAN!- sbraitò, allibita -Ma è impazzito? Ha intenzione di demolirmi l’ufficio??-.
-Capo, questo non lo posso tollerare! Quella è l’auto di André!-.
-Vuole dire che era l’auto di Fux. È morto, Gerkhan, e non tornerà indietro né per lei né tantomeno per quella macchina!-.
Johanna stava tra il capo e Semir che si urlavano contro e non sapeva cosa fare. Si sentiva di troppo in quella situazione e sarebbe voluta sprofondare nel pavimento. Intanto l’intero distretto, accorso per i rumori e le grida, se ne stava incollato ai vetri dell’ufficio del capo, gli occhi spalancati un’espressione incredula per ciò che stavano vedendo.
-Poveretta, quella lì. Oggi era il suo primo giorno- disse Andrea -Ora penserà che siamo una gabbia di matti-.

Washington D.C.
Kelly e André stavano aspettando l’aereo che li avrebbe portati a Colonia. André fissava intensamente fuori dalle vetrate, il paesaggio americano, perché aveva la strana ed orribile sensazione che non sarebbero tornati a Washington molto presto.
-Un giorno mi devi far vedere Washington- disse lui -Me lo hai promesso, ricordi?-.
-Certo- sorrise Kelly -Appena sarà finito tutto questo casino faremo un bel giro per la città. D’altronde, hai vissuto qui a Washington meno di dodici ore!-.
-Già-.
-Hai paura che qualcosa ti tratterrà a Colonia?-.
Aveva toccato il tasto dolente -No... cosa te lo fa pensare?-.
-La tua faccia- scoppiò a ridere. Anche André le aveva detto così, una sera, a Maiorca -A parte gli scherzi- disse, tornando seria -Vedrai che torneremo presto! Poi Colonia è grande, vuoi che quel bastardo sia andato a uccidere proprio nel distretto dove lavoravi tu?- gli scostò un ciuffo di capelli lunghi dal viso e lo guardò negli occhi.
André si sentì sollevato. Perché non ci aveva pensato? L’omicidio era avvenuto a Colonia, ma magari non nel distretto autostradale! Era così contento che fece il sorriso più largo che avesse mai fatto in vita sua. Si sporse in avanti per baciarla, ma proprio in quel momento l’altoparlante annunciò che il loro volo era in partenza.

Colonia
-Otto, diglielo tu! Sei tu quello che ha risposto alla chiamata!- disse Dieter.
-Beh che c’entra? Io là dentro non ci vado- Otto fece un passo indietro, come per confermare ciò che aveva appena detto.
-Nemmeno io!- ribatté Dieter.
-Piantatela! Ci vado io!- sbottò Andrea, facendosi largo tra i colleghi per raggiungere la porta dell’ufficio del capo. La aprì e le urla che prima le arrivavano soffocate dai vetri le ferirono le orecchie.
-Andrea, vattene. È una questione fra me e il capo!- ringhiò Semir.
Andrea lo ignorò e si rivolse alla Engelhardt -Capo, è arrivata una chiamata. L’NCIS è appena arrivata da Washington ed è già sul luogo dell’omicidio. Il loro capo ha chiesto di lei e i nostri colleghi di pattuglia vorrebbero il cambio. È tutta la notte che sono là-.
-Grazie Andrea, puoi andare- rispose, cercando di rimanere calma, poi si voltò di nuovo verso Semir e gridò: -Questo è il colmo! L’NCIS viene dagli Stati Uniti, si è fatta quasi una notte di viaggio ed è sulla scena prima di noi che la possiamo raggiungere tranquillamente a piedi! Ma si rende conto, Gerkhan, della fama che ci stiamo facendo? Io che urlo come una pazza contro di lei davanti ad una nuova collega e lei che mi distrugge mezzo ufficio e che così facendo mi fa dimenticare persino delle indagini!-.
-Ah, adesso è colpa mia se lei si dimentica qualcosa?!-.
-Adesso basta, Gerkhan. Lei da questo preciso istante è in coppia con la Burnett ed ora entrambi venite con me ed indagate insieme all’NCIS sul caso! La discussione finisce qui- prese la sua giacca e la pistola e uscì, sbuffando. Semir la seguì, strascicando i piedi, scocciato come non mai, e Johanna si unì a loro, muovendo piccoli passi e sentendosi addosso lo sguardo di tutti gli altri.

André imboccò l’autostrada e si sentì mancare. Kelly, seduta accanto a lui, stava litigando con una cartina della città.
-Si può sapere com’è messa questa maledetta cosa?!- sbuffò, trattenendosi dal farla a pezzi.
-A che ti serve, scusa? Io ci sono cresciuto qui, conosco ogni angolo della città- fece lui.
-Lo so, ma dopo come faccio a tornare in albergo? Nessuno di noi conosce Colonia-.
-Ti torno a prendere-.
-Lo faresti?-.
-Certo!-.
-Grazie!-.
-Kelly...- la chiamò André dopo una breve pausa.
-Sì?- rispose, riemergendo da dietro alla cartina.
-Siamo ufficialmente entrati nel distretto autostradale-.

Semir se ne stava a braccia conserte accanto a Johanna, mentre la Engelhardt discuteva con Gibbs, il capo della Squadra Investigativa della Marina Americana.
-Ehm... Gerkhan?- chiamò timidamente Johanna.
-mmm- fu la risposta che ottenne.
-Non crede che abbiamo cominciato con il piede sbagliato?-.
Nessuna risposta.
-Insomma...- continuò lei -So benissimo che prima c’era un altro a posto mio ma... io non posso farci niente!-.
Il suo “collega” non dette segno di averla ascoltata, così decise di lasciar perdere.
In quel momento, un’auto si fermò sulla corsia d’emergenza e ne scese un’altra agente dell’NCIS. La ragazza non fece in tempo a chiudere lo sportello che il veicolo già era ripartito, come se avesse fretta di togliersi da lì.
Johanna fissò incredula l’agente appena arrivata, poi le corse incontro -Kelly? Kelly Gibbs?- fece, quando le fu di fronte.
-Johanna?!- Kelly spalancò gli occhi a sua volta -Non ci credo! Che ci fai qui?-.
-E’ il mio primo giorno di lavoro!-.
-All’autostradale?!-.
-Sì! Prima ho visto tuo padre, ma non vedendo te ho pensato fossi rimasta a Washington!-.
-No, no, ero con... un’amico-.
-Aaaah, ora capisco! Non cambi mai, eh?-.
-Ma che hai capito?! Poi quando abbiamo un momento ti spiego- le strizzò l’occhio.
-Ehm ehm- le interruppe Semir, dietro di loro.
-Oh, che scema, lui è Semir Gerkhan, il mio nuovo collega- disse Johanna.
“Così è questo l’ex collega di André...” si disse Kelly -Piacere, Kelly Gibbs, NCIS- fece poi prgendogli la mano.
-Finiti i convenevoli?- gridò Gibbs alle loro spalle.
Kelly fece cenno di sì con la mano -Il lavoro chiama!- disse poi, rivolta agli altri due -Piacere di averti conosciuto, Semir!-.
-Jethro, ho finito i primi rilievi sul corpo- disse il dottor Mallard, detto “Ducky”, il medico legale dell’NCIS -Ora mi serve una sala autopsie, un furgone e una sacca mortuaria-.
-Il furgone è laggiù e dentro c’è tutto l’occorrente- la Engelhardt indicò il furgone parcheggiato dietro alle auto degli agenti -Per la sala autopsie ci penso io. Scusatemi, faccio una telefonata- detto questo prese il cellulare e si allontanò.
-Ehi, voialtri!- Gibbs si rivolse ai suoi agenti -Al lavoro!-.
Kelly iniziò a fare gli schizzi della scena, mentre McGee fotografava e Tony e Ziva raccoglievano tutto ciò che poteva essere una prova.
-Ehi, guardate un po’ qua!- esclamò Tony, sollevando con le pinzette quello che da lontano sembrava un pezzo di carta con un buco in mezzo.
-Che cos’è?- chiese Ziva, avvicinandosi.
-Una foto. Di un bambino-.
Semir si voltò di scatto e tese le orecchie.
-Sembra che qualcuno ce l’avesse addosso mentre gli sparavano- osservò McGee -Il buco sembra provocato da un proiettile e i bordi sono sporchi di sangue-.
Kelly, che fino a quel momento non aveva alzato lo sguardo dai suoi schizzi, s’irrgidì e lasciò cadere la matita a terra, tra le foglie secche.
-La cosa non sembra recente. Il sangue è rappreso-.
-Sai che non ce n’eravamo accorti, McGenio?- fece Tony, sarcastico -Piuttosto, bisogna scoprire di chi è questo sangue-.
-Non ce n’è bisogno- intervenne la voce di Kelly -Io so di chi è-.
Semir rimase letteralmente impietrito da quell’affermazione. Come poteva una persona che conosceva da dieci minuti sapere di quello che era successo a Maiorca?
Le sue labbra e quelle di Kelly si mossero nello stesso istante ed entrembi pronunciarono quel nome.
-Carlos Berger-.

-Quindi André è vivo?!- esclamò Semir, che piangeva di gioia -Ed è qui a Colonia?!-.
Kelly annuì.
-Ed è vivo anche Berger- disse il capo, con un tono grave.
-Ma chissenefrega di Berger! André è vivo! È questo quello che conta! Ora dov’è? Lo voglio vedere!- Semir era così contento che non riusciva a stare fermo sulla sedia.
-Non lo so-.
-Come non lo sa?! L’ha detto lei che vivete insieme!-.
-Gerkhan, perfavore- lo ammonì la Engelhardt.
-Mica sono sua madre! Conosce la città, sarà andato a farsi un giro!- si difese Kelly, sempre più agitata pensando che ora André avrebbe dovuto affrontare la scarica di euforia di Semir.
-Quello che ora interessa a me e ai miei agenti- interruppe Gibbs -E’ sapere cosa c’entra questo Berger con i nostri Marines. È la prima volta che sento questo nome-.
Come per rispondergli, il suo cellulare squillò.
-Gibbs- rispose.
-GibbsGibbsGibbs!- esclamò Abby dall’altra parte. Quando faceva così era evidente che portava buone notizie.
-Che c’è, Abby?-.
-Indovina un po’? Avete fatto un viaggio a vuoto!-.
-Che...?-.
-Quello che state rincorrendo là non è il vero assassino! Lui è qui, ed è in sala autopsie con Palmer. Si è suicidato!-.
-Cosa?!-.
-Hai sentito bene! L’uomo che ha ucciso il Marine a Maiorca e quello qui a Washington è morto! Voi state inseguendo un emulatore!-.
-Grazie Abby, ottimo lavoro- chiuse la telefonata.
-Allora?- chiesero tutti i presenti nella stanza.
-Cambio domanda. Perché Berger ci vuole qui?-.
-Papà, non ti seguo- disse Kelly.
-Abby mi ha appena detto che il nostro assassino si è ammazzato a Washington. Quindi c’è da credere che Berger abbia ucciso questo Marine per attirarci qui-.
-Ma chi di noi conosce questo Berger di persona? Chi gli ha mai fatto qualcosa!- fece notare Ziva -Nemmeno Kelly lo ha mai visto in faccia! E fino a poco fa lo credeva morto, quindi non vedo come...-.
Kelly la interruppe -Certo, ora è tutto chiaro! Io non gli ho fatto niente, ma André sì! Mi ha raccontato che Berger crede che sia stato lui ad uccidere suo figlio!-.
-Quindi sta cercando André- concluse McGee -Ma perché attirare qui tutti noi e non solo lui?-.
-Perché a Maiorca lo ha sempre visto con me! Quindi forse crede che sia uno di noi- rispose Kelly.
-Oppure crede che avendo te può arrivare a lui- ipotizzò suo padre -Quindi da adesso andrai in giro con la scorta-.
-Non se ne parla!- sbottò lei.
-Aspettate, aspettate un attimo- intervenne Semir, alzandosi -Fatemi capire. Ora André è in giro per Colonia... e Berger pure-.
-Ho un bruttissimo presentimento- disse Kelly -Temo che gli sia successo qualcosa-.
E infatti non si sbagliava:
Andrea entrò nell’ufficio -C’è stato un incidente sulla A4. Due auto coinvolte. Una jeep e una berlina blu. La berlina era stata noleggiata questa mattina in un autonoleggio vicino all’aeroporto. Ci sono già dei colleghi sul posto, ma chiedono rinforzi- disse, uscendo ad un cenno della testa del capo.
-Signora Engelhardt- mormorò Kelly da in fondo alla stanza, con una voce così bassa che si udiva a malapena -La berlina blu la guidava André. L’abbiamo noleggiata stamattina appena arrivati-.
-E la jeep è di Berger. Ci scommetto quello che volete- disse McGee, sbuffando.
-Gerkhan, vada immediatamente sul posto con Burnett e Gibbs- ordinò la Engelhardt.
-Quale dei due Gibbs?- chiese Tony, inclinando la testa come un gattino curioso, prima di ricevere uno scappellotto sia da Kelly che da suo padre.

-Johanna, quando ti decidi ad accelerare??- fece Kelly per la centesima volta.
-Mica posso volare! Abbiamo altre auto davanti!- si difese lei.
Kelly adocchiò il lampeggiante, lo accese e lo mise sul tettuccio -Ora, dai con quel gas!-.
Johanna affondò il pedale dell’acceleratore e prese a zigzagare pericolosamente tra le auto, strizzando gli occhi quando si avvicinava troppo a quella davanti, come per prepararsi all’urto.
-Vai, così si fa!- esclamò Kelly, per un attimo dimentica del motivo per cui stavano correndo, rapita dall’ebrezza della velocità.
Ad un certo punto le auto cominciarono a farsi più rade, tutte imboccavano l’uscita segnalata dal segnale che lampeggiava al centro della carreggiata. Poco dopo l’autostrada fu completamente sgombra, e Kelly e Semir sentirono il cuore che risaliva verso la gola. Se fosse stato troppo tardi? Se per André non ci fosse stato più niente da fare, questa volta per davvero?
Johanna fermò la macchina e scese. Due colleghi le corsero incontro, gridando: -State indietro. È armato-.
Per tutta risposta, Kelly estrasse la pistola, la portò davanti al viso e la caricò, cercando di fare più rumore possibile. Poi scansò bruscamente i due poliziotti e scavalcò le due auto messe in modo da bloccare la strada. Sentì delle voci e istintivamente si abbassò fino a strisciare. Due segni di frenata freschi le indicavano che l’auto era finita fuori strada, nel bosco.
Una mano le toccò la spalla e la fece sussultare. Accanto a lei, Johanna le sorrise. Poco dietro, Semir fece lo stesso.
-E voi che fate? Gli apprendisti suicidi?- sibilò Kelly, intimando loro di andarsene.
-Facciamo i colleghi- rispose Johanna, senza smettere di sorridere. Semir alzò il pollice e le strizzò l’occhio.
-Grazie. Ma se poi vi fate ammazzare la colpa non è mia!-.
Strisciarono fino a bordo strada e quello che videro fece gelare il sangue nelle vene a tutti e tre, persino a Johanna che fino a quel momento non sapeva nemmeno che faccia avesse André.
Berger era in piedi e dava loro le spalle, mentre André era disteso ai suoi piedi, a faccia in su, con mezza faccia coperta di sangue a causa di un profondo taglio sulla fronte che sanguinava. Berger gli stava puntando una pistola e gli stava gridando insulti, minacce e altre cose a cui i tre non fecero caso. L’unica cosa che compresero fu:
-Addio, Fux-. Un addio carico di odio.
Kelly non ce la fece più. Scattò in piedi, strinse la pistola e chiamò:
-Ehi, Berger!-.
Lui si voltò di scatto e fece per spararle, ma lei fu più rapida e in un attimo mirò e sparò. Berger cadde a terra urlante, stringendosi la spalla ferita. La sua arma volò lontano da lui.
Kelly corse da André. Quando gli fu vicina si accorse che premeva entrame le mani sulla gamba sinistra. Gliele sollevò delicatamente e notò che un proiettile lo aveva preso di striscio. Per fortuna non aveva provocato danni gravi.
-Era... era ora che... che arrivassi- biascicò André. Ogni parola gli costava uno sforzo immenso.
Semir apparve sopra la spalla di lei, con gli occhi lucidi. Ancora stringeva in mano il cellulare con cui aveva chiamato l’ambulanza.
-Sei... sei vivo!- esclamò, trattenendosi dal piangere. Si inginocchiò accanto a lei, senza smettere di ripetere -André... André...-.
Kelly adagiò la testa di André sulle sue ginocchia e gli scostò i capelli lunghi dal viso, come aveva fatto tante volte. Fu in quel momento che si accorse che stava piangendo. Le lacrime scendevano copiose dagli occhi e lavavano via il sangue che era uscito dal taglio. Da quando lo conosceva non lo aveva mai visto piangere, mai. Questo la commosse e anche lei si lasciò andare a singhiozzi silenziosi.
Johanna intanto aveva ammanettato Berger.
-Se non stai fermo ti piazzo un’altra pallottola. Tanto ne hai già due. Tre è il numero perfetto! Dove la vuoi?- fece il gesto della pistola con la mano, prima di consegnarlo ai due colleghi, sconcertati da quanto era appena accaduto.
Si voltò a guardare la sua vecchia amica e il suo nuovo collega, che piangevano di gioia per André. Quella scena le provocò una stretta fortissima al cuore. In un attimo le balenarono davanti agli occhi Mac Taylor che le diceva che Don se ne sarebbe andato dalla Omicidi, il bigliettino trovato sul tavolo, la scenata che aveva fatto e il telefono che ogni volta suonava a vuoto.
Infilò la mano in tasca e tirò fuori il cellulare. Cercò nella rubrica fino alla lettera D. Selezionò il nome “Don” e fece partire la chiamata. Si portò il telefono all’orecchio. Tu... tu... tu... niente da fare. Ma che cosa credeva? Che le avrebbe risposto? E la delusione le piombò addosso, come faceva puntualmente tutti i giorni, quando chiudeva quella telefonata fatta a vuoto.

L’ambulanza caricò André e partì a tutto gas lungo l’autostrada sgombra, verso l’ospedale più vicino. Semir si piazzò davanti a Kelly e la guardò negli occhi.
-Non avevo mai visto André piangere- disse -Ed io ho lavorato con lui tantissimo tempo-.
Kelly non rispose e continuò a fissare il punto dove l’abulanza era sparita, sopra alla testa di Semir.
-Il punto è che devi essere una persona importante per lui, una persona davvero speciale- si voltò e fece per andarsene, ma lei lo fermò.
-Più importante del suo migliore amico?- fece, incrociando finalmente il suo sguardo.
-A quanto pare sì, se ha preferito venire a vivere con te senza neanche avvertirmi che era vivo e che stava bene. Mi sono fatto quasi cacciare dalla polizia, per quanto ero sconvolto per la sua “morte”. Ho buttato all’aria il tavolo dell’ufficio del capo-.
-Lo ha fatto per te. Non sai quanto gli è dispiaciuto quando gli ho detto che eri già tornato a Colonia, poco dopo il suo incidente. Mi ha detto che dovevi abituarti che certe cose in polizia possono accadere tutti i giorni. Io ho provato l’esperienza di perdere un collega, e se Kate fosse miracolosamente sopravvissuta a nostra insaputa credo che avrebbe fatto lo stesso. Ma la domanda ora è: se fosse capitato a te, che avresti fatto? Saresti corso da lui a dire “sono vivo!” oppure avresti agito come lui?-.
Semir non disse niente.
-Quindi non dire che lui tiene più a me che a te. Lui tiene a tutti e due, in modo diverso, certo, ma vuole bene a entrambi, e quando si sarà rimesso ti dirà la stessa cosa-.
-Grazie- abbozzò un sorriso e i due si strinsero la mano.

Kelly suonò due volte al campanello dove c’era scritto “Burnett”. Johanna si affacciò alla finestra, la vide e corse di sotto.
-Non dovevi ripartire?- le chiese, stupita.
Kelly frugò nella tasca della giacca e ne estrasse un cartellino verde, con scritto “Autobahnpolizei” in alto, sopra alla sua foto, ai suoi dati e alla sua firma. Glielo sventolò sotto al naso poi scoppiò a ridere.
-Non ci credo! Lavoreremo insieme?!- esclamò l’altra, saltandole al collo -Ma... l’NCIS? E tuo padre?-.
-Sono ancora un’agente dell’NCIS- rispose -Ma lavoro con voi. Mio padre ha capito e non ha fatto storie quando gli ho detto cosa volevo fare, anzi ha telefonato immediatamente al direttore-.
-Ma è fantastico!!- Johanna non stava più nella pelle dalla felicità.
-Comunque... non è solo per questo che sono qui- Kelly si fece seria -Posso salire? Ti devo parlare-.
L’amica si scostò per farla passare, poi la seguì in casa. La fece accomodare sul divano e si sedette di fronte a lei.
-Devo confessarti che ho indagato un pochino su di te-.
-Tzè, quando mai non l’hai fatto?-.
-So della storia della Omicidi e so... di Don Flack. Me ne vuoi parlare?-.
Anche Johanna diventò improvvisamente seria -Preferirei di no-.
-Ora siamo colleghe, oltre che amiche. Quindi niente segreti-.
-Che rompiscatole che sei!- sbuffò -Non sei cambiata di una virgola! Da quando facevamo l’accademia di polizia!-.
-Dai, spara-.
Johanna inspirò ed espirò il più rumorosamente che riuscì, poi si lasciò andare e raccontò tutto, da quando aveva lasciato l’accademia a quando era partita per Colonia alla ricerca di una nuova vita, migliore di quella che aveva vissuto a New York.
-Cavolo, ed io che credevo di aver avuto sin troppe brutte esperienze!- esclamò Kelly, quando l’amica ebbe terminato.
-Ora tocca a te però- un sorriso furbetto si allargò sul suo volto.
Anche Kelly raccontò tutto. Di quando era entrata all’NCIS, dei suoi colleghi, della morte di Kate, dell’arrivo di Ziva, dell’incidente nel quale suo padre aveva perso quindici anni di memoria, eccetera eccetera.
-Bene, ora che bbiamo “sviscerato” per bene le nostre vite, ho una sorpresa- disse, quand’ebbe terminato. Tirò fuori il cellulare, compose un numero che aveva scarabocchiato su un fogliettino e le appoggiò il telefono all’orecchio.
-Ma che...?- Johanna non poté terminare, perché dall’altra parte del telefono una voce rispose:
-Flack-.
-Don? Don sei tu?- chiese diverse volte, per essere sicura di essere sveglia.
Dopo una buon’ora di telefonata, Flack chiese:
-Allora, quando vieni?-.
-Come quando vengo?-.
-La tua collega mi ha detto che...-.
Johanna non sentì il resto della frase, perché aveva involontariamente allontanato il telefono voltandosi a guardare Kelly, che aveva aperto a ventaglio quattro biglietti aerei e aveva sfoderato un sorriso a trentadue denti.
-Pensierino da parte di mio padre e della Engelhardt- disse, sventolandosi con i biglietti.
-Scusa, Don, ti richiamo- riattaccò, poi saltò addosso a Kelly -E questa la chiami sorpresa?! Altro che sorpresa, qua mi sembra di essere a Natale! Grazie, grazie, grazie!-.

Più tardi, Kelly usciva dall’ospedale con André, che zoppicava leggermente per la ferita alla gamba non ancora guarita del tutto.
Salirono in auto, Kelly infilò la chiave nel quadro ma non la girò e non partì.
-Che c’è?- André la guardò interrogativo.
-Niente. Solo che... mi dispiace-.
-E per cosa?-.
-Per averti trascinato qui. Avrei dovuto capirlo che era piuttosto strano che morisse un Marine a Colonia poco tempo dopo averti salvato. Avrei dovuto insistere perché rimanessi a Washington-.
-Al posto tuo io avrei fatto lo stesso. Comunque, mi devi ancora il giro per Washington-.
-Fa lo stesso se non è Washington ma è New York?- gli infilò in tasca uno dei biglietti.
-Sì ma... perché proprio la Grande Mela?-.
-Per Johanna. Però se vuoi tornando facciamo tappa a Washington. Anche perché credo di aver dimenticato qualcosa a casa...-.
Entrambi scoppiarono a ridere, poi Kelly mise in moto e partì, verso casa.
-Sai che non piangevo da un pezzo?- disse André a metà del viaggio, di punto in bianco -Da quando ero bambino-.
-Non ci credo-.
-Giuro. No, forse una volta ho pianto. Dal dentista-.
-Hai paura del dentista?- Kelly lo guardò e trattenne una risatina.
-Guai a te se lo dici in giro!-.
-Muta-.
-Tornando a poco fa... mi ha fatto bene piangere. Mi sono sfogato. Anche se poi vi ho fatto piagnucolare tutti-.
-Sfogato di che?-.
-Di tutto. Dovrei farlo più spesso-.
-Beh, quando ti serve una spalla su cui piangere io ne ho due. Una un po’ ammaccata da un proiettile, ma va bene lo stesso-.

André, Kelly, Johanna e Semir erano sull’aereo che li avrebbe portati nella Grande Mela. Johanna stava facendo addormentare Semir, seduto vicino a lei, raccontandogli quanto fosse bella New York in quel periodo.
André appoggiò la testa alla spalla di Kelly.
-Mi presti la spalla ammaccata anche per dormire?-.
-Favorisci- fece lei, ridendo. Poi, si fece seria di colpo -André? Dormi già?-.
-Macché-.
-Staremo insieme per sempre, vero?-.
-Ma da dove ti vengono certe domande? Certo che rimarremo insieme per sempre. Per sempre più un giorno-.
-Forever and a day- tradusse lei in inglese.
-Forever an a day- ripeté André -Bello, mi piace-. Si sistemò meglio sulla spalla di lei e prese a canticchiare.
-Ora che fai, canti anche?-.
-Forever and a day... dovrei scriverci una canzone- disse, poi si addormentò. Kelly prese la mano di André tra le sue e la strinse. Appoggiò la testa allo schienale e fissò il soffitto dell’aereo. Prima di cadere anche lei addormentata, sospirò: -Forever and a day... eh, sì, verrebbe proprio una bella canzone!-.

Fine



Edited by ~ Forever Fux - 26/3/2009, 20:31
 
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Dominique
view post Posted on 13/1/2009, 08:46




carina la storia, anche se è un pò inusuale questa collaborazione tra la squadra cobra 11 e NCIS... cmq anche a me piace andrè coi capelli lunghi ehehehehehe :wub:
 
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~ Forever Fux
view post Posted on 13/1/2009, 18:39




Grazie^^
 
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stellinasara09
view post Posted on 2/4/2012, 14:26




una bellissima storia a me Andrè piaceva molto, peccato che non oltre questa non ci siano storie su andrè
 
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3 replies since 10/1/2009, 19:16   334 views
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